Una premessa fondamentale: chi siamo
Radio 32 è un network, una piattaforma digitale, che accoglie i contributi di tante radioweb ‘comunitarie’, gruppi di persone e cittadini che vogliono esprimersi e si riuniscono attorno ai principi e alle tematiche connesse all’articolo 32 della Costituzione italiana. Una piccola grande comunità di persone che concepisce la Salute ‘come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività’ e crede che la società debba organizzarsi ‘per garantire le cure gratuite a tutti’, partendo proprio dagli ultimi, dalle persone più indigenti, che hanno ovviamente maggiori difficoltà ad accedere a servizi di cura e assistenza.
Tutto questo tenendo ben presente che in nessun caso si possano e/o si debbano violare ‘i limiti imposti dal rispetto della persona umana’. Precisazione che può sembrare retorica, ma che in realtà pone un vincolo fondamentale nel rapporto tra il singolo e la comunità di appartenenza, tra l’esperto ed il comune cittadino.
La radio diviene un modo per parlare di salute, ma soprattutto per ‘fare salute’.
Perché il ‘fare comunità’ attorno alle persone con un problema di salute è parte fondamentale in ogni percorso di cura che voglia mettere realmente al centro la guarigione del singolo ed il benessere della collettività in cui il singolo è inserito. Senza la dimensione psicologica e sociale, non è possibile parlare di vera salute è tale concezione è promossa dall’Organizzazione Mondiale della Sanità attraverso quello che viene definito approccio bio-psico-sociale.
Attenta quindi al comunicare, ma soprattutto al ‘produrre salute’, Radio 32 è un network che mette in rete associazioni, cooperative, gruppi formali e informali accomunati da questi principi: realtà che sviluppano progetti di supporto e assistenza in ambito socio-sanitario, realtà che realizzano trasmissioni per combattere i pregiudizi e lo stigma legato a condizioni di malattia fisica e mentale. Cittadini, professionisti, operatori sociali, volontari che in questi anni hanno utilizzato questo strumento per stare assieme, per esprimersi, per ragionare, per amplificare la portata di messaggi sistematicamente ignorati dalla comunicazione mainstream (leggi il nostro manifesto).
La quarantena
E’ l’11 marzo, quando, a causa dell’emergenza sanitaria causata dal Covid-19, viene decretata la quarantena per tutti e il nostro mondo si stravolge in modo improvviso, disorientante.
Il nostro mondo viene ‘sospeso’ e in un certo senso capovolto: la misura per contenere e superare l’emergenza imposta a tutti è proprio il ‘distanziamento sociale’. L’unico modo per arginare il contagio e affrontare la crisi in atto è stare distanti, non fare ‘gruppo’, non uscire e limitare gli spostamenti. Da un giorno all’altro, tutto quello che facciamo per produrre salute diviene proibito, addirittura pericoloso. E dopo l’inevitabile spaesamento, la grande preoccupazione.
Preoccupazione immediata per la stabilità e la salute delle persone con cui lavoriamo, per le quali la socialità non è semplice intrattenimento, ma possibilità pratica essenziale nel proprio percorso di cura, soprattutto nell’ambito della salute mentale. In collaborazione con la Cooperativa sociale ‘Il Mosaico’, infatti, vengono realizzati laboratori e attività per persone con disagio mentale che confluiscono nella storica radioweb ‘Radio Fuori Onda’ e nel progetto ‘Restart’.
L’apprensione è tanta perché la quarantena istituisce e favorisce l’isolamento, uno dei fattori di rischio maggiori per l’emergere di possibili crisi in ambito psicopatologico, e limita o proibisce la prossimità, uno degli strumenti più efficaci per prevenire tali situazioni. E soprattutto, fin da subito, si capisce che non c’è un orizzonte ben definito rispetto alla durata delle misure adottate.
Tuttavia, dopo l’inevitabile sconforto iniziale, arriva fin da subito una grande consapevolezza: l’importanza degli strumenti digitali e dei social in questo momento.
Strumenti che il network di Radio 32 conosce bene perché già in parte utilizzati come modalità di comunicazione per facilitare il lavoro di gruppo.
Tuttavia questi mezzi rappresentavano ‘solo’ un aspetto aggiuntivo del nostro modo di fare comunità, un aspetto innovativo utilizzato per connettere chi, per difficoltà legate a problemi di salute fisica e/o mentale, non aveva la possibilità di spostarsi fisicamente. Un appendice al lavoro di gruppo ‘fisico’ che si portava avanti.
Dopo l’11 marzo, tale comunicazione diviene l’unico modo per garantire quel minimo di socialità necessaria a supportare le persone più in difficoltà proprio a causa dell’isolamento.
Facebook, WhatsApp, Skype, Zoom (sconosciuto fino a quel momento), da strumenti accessori, divengono strumenti di lavoro indispensabili.
Al contempo, internet e i social divengono un palcoscenico ancora più importante, dove poter far sentire la propria voce.
Ed inizia così la ‘folle’ corsa. La corsa per capire come utilizzare questi strumenti in modo realmente terapeutico: ossia, per ridurre la distanza e tornare ad una prossimità utile per aiutare le persone più in difficoltà e prevenire possibili emergenze legate alla mancanza di contatti terapeutici e sociali in situazioni difficili.
Perché i problemi di salute, e di salute mentale, non si ‘sospendono’ per decreto.
Cosa abbiamo fatto fin qui
Il primo passo è stato quello di permettere a tutte le persone del network di avere accesso alla socialità digitale, ossia abbiamo aiutato le persone più in difficoltà a ridurre il gap digitale, supportando e accelerando un processo di apprendimento necessario per mantenere legami fondamentali tra le persone. E non è stato facile. E’ servito tempo, pazienza e ingegno, compressi in poco tempo. Un processo che sarebbe durato probabilmente anni, divenuto necessario, è stato fatto in pochi giorni.
Il secondo step è stato quello di organizzare questa socialità a partire proprio dai bisogni delle persone del network, creando momenti di supporto reciproco e di auto-mutuo aiuto sia sui bisogni specifici e individuali, sia dando supporto per gli aspetti legali connessi ai diversi decreti che di volta in volta venivano emanati, o agevolando l’accesso alle giuste informazioni sull’emergenza sanitaria in atto, filtrando e proteggendo le persone più sensibili dal mare di fake news che quotidianamente ci travolgevano (e ci travolgono).
E nel fare ciò, abbiamo capito l’importanza cruciale di comunicare in modo sano in questo preciso momento storico ed, in particolare, l’importanza del nostro lavoro nel mondo della comunicazione. Attraverso un enorme lavoro tecnico, favorito dalla grande solidarietà emersa in queste settimane, ci siamo organizzati per essere agenti attivi e proattivi rispetto alla volontà di rendere proficua l’enorme quantità di tempo ‘istituzionalizzato’, ossia privo delle libertà fondamentali, che il lockdown ci imponeva.
E ci abbiamo preso gusto avviando noi stessi delle iniziative di solidarietà digitale che rendessero utile il nostro tempo immobilizzato, arrivando così, in pochi giorni, al terzo step: essere promotori noi stessi, a partire dalle nostre esperienze, di una comunicazione che potesse essere d’aiuto per gli altri.
Il network quindi si è attivato, creando un gruppo su Facebook (QuarAntenna) per condividere informazioni, esperienze e contributi dalle quarantene di ognuno, molti dei quali provenienti da comunità terapeutiche, centri diurni, laboratori di riabilitazione, i quali a loro volta hanno raccolto voci da tante città italiane e da tutto il mondo, in un processo di comunicazione dal basso strabiliante, partito proprio dagli ‘ultimi’, che una volta connessi, sono stati i primi ad aiutare, comunicare e diffondere i messaggi propri ed altrui. Attraverso l’omonima trasmissione, la radio è divenuta aggregatore in grado di coinvolgere cittadini, professionisti della comunicazione, scrittori, ampliando la propria rete e permettendo nuove collaborazioni agli ‘utenti’ inclusi nelle attività terapeutico riabilitative realizzate ‘a distanza’, portate avanti dalla Cooperativa Il Mosaico, innovando le pratiche di inclusione.
Ma il lavoro non si è fermato qui e la rete si è fatta ancora più ampia, con la campagna di comunicazione ‘Restiamo Uniti’, nata dalla collaborazione con il Centro di Salute Mentale dell’Asl Roma2, grazie alla quale sono arrivati i contributi delle persone straniere e dalle diverse comunità migranti presenti in Italia: anche questa un’iniziativa enorme, realizzata con pochissime risorse, ma con un fortissimo spirito di iniziativa e professionalità, che ha coinvolto individui distanti tra loro, ma accomunati dalla voglia di comunicare il senso di appartenenza alla collettività in cui vivono. Una campagna per combattere lo stigma e i pregiudizi in tempi di Coronavirus, terreno fertile per bufale e fake news di ogni sorta che mettono a rischio la salute delle persone: la pagina Facebook dedicata accoglie tutti gli appelli e le notizie in merito raccolte.
E fin qui potrebbe sembrare una favola, con i soli elementi positivi ad emergere, ma ovviamente non è così.
Parliamo al passato, ma in realtà, è bene tornare ad utilizzare il presente.
Un presente di resistenza, nei momenti più difficili, di resilienza, nei momenti di maggior creatività.
Non a caso, a partire dall’ascolto delle persone più in difficoltà, abbiamo voluto lanciare l’hastag #ioresistoacasa, per sottolineare come l’obbligo di rimanere a casa abbia messo in evidenza più che mai tutte le diseguaglianze sociali maturate nel periodo precedente all’attuale pandemia.
Per sottolineare che stare a casa, per molti, non è un semplice obbligo da mantenere che può essere detto e indicato con un superficiale piglio educativo di chi riprende uno scolare impenitente.
Per molti/e, rimanere a casa può essere o diventare un’emergenza socio-sanitaria.
Per moltissimi/e può diventare, man mano che passano le settimane, un problema economico insopportabile.
Per alcuni/e, si traduce in abbandono.
Per altri/e, nell’essere costretti/e in contesti di violenza.
E non se ne può non tener conto.
In queste settimane, noi per primi, obbligati all’innovazione tecnologica, ci siamo voluti mettere in ascolto e abbiamo raccolto moltissime esperienze di quarantena, provando, nel nostro piccolo, ad essere un amplificatore in grado di far emergere, nel caos informativo attuale, le prospettive di chi, già da prima della quarantena, era al margine.
Il filo comune di queste iniziative è stato quello di favorire la coesione sociale, l’unico vero strumento che una democrazia ha per far rispettare delle norme collettive così rigide.
Tuttavia la coesione sociale non può basarsi solamente sul rispetto di processi decisionali top-down, ma si alimenta anche dell’ascolto delle esigenze della comunità in carne ed ossa che un governo dirige.
Cosa vogliamo fare ora
Come detto, questa non è una favola, così come non è una storia conclusa.
Al contrario, come tutti, anche noi viviamo in uno stato di incertezza mai provato prima.
Sia a livello individuale, che collettivo, ci ritroviamo spaesati di fronte al futuro, perché il mondo che conoscevamo –e che, ben inteso per molti versi già non ci piaceva – con la sua stabilità i suoi confini, con gli alleati e i nemici ben definiti, tutt’a un tratto è sospeso.
Viviamo una crisi talmente grande che pensare di rimanere fermi ad aspettare non ci sembra una via percorribile. Soprattutto per chi non crede in un approccio ‘assistenzialistico’ alla cura, un approccio passivizzante, che deprime (e a volte istituzionalizza e annichilisce chi cura), rimanendo in attesa di un alto che si occupi del basso.
E l’unico modo utile per rendere fruttuoso questo tempo è considerarlo per quello che è: un momento di ‘svolta’, individuale e collettiva.
Solo se si sta ben centrati sul presente si possono vedere i problemi e le opportunità concrete insite in questa crisi. Ma è una frase ad effetto ancora troppo retorica e vaga.
Proviamo ad andare più nello specifico.
Un aspetto epocale che possiamo registrare in queste settimane riguarda innanzitutto l’azione di governo: mai, da quando personalmente ne ho memoria, la salute dei cittadini è stata messa al primo posto nell’agenda politica, rispetto ai processi economici dettati dal Mercato. E questo è sicuramente un aspetto nuovo e positivo. La salute è venuta prima di tutto.
Un secondo aspetto importantissimo riguarda la comunicazione: da quando è iniziata la pandemia, la ‘competenza’ è tornata ad avere un primo piano nella comunicazione, a dispetto di anni passati a subire le strategie di social media marketing di grandi comunicatori dai contenuti vaghi e approssimativi.
Detto ciò, in questo momento abbiamo di fronte anche dei rischi enormi:
- delegare alla tecnica e al solo sguardo ‘biologico’ un discorso che riguarda la salute della collettività nel suo insieme.
- Delegare al controllo e alla tecnica il rispetto di norme che richiedono l’impegno e il coinvolgimento attivo di tutti, senza includere ed ascoltare i cittadini nelle loro esigenze specifiche.
- Ragionare in una costante logica dell’emergenza, basata solo sui numeri, per tornare di corsa a quel mondo che ha contribuito all’emergere della pandemia stessa: ossia non permettere un confronto sui processi concreti, legati al complesso rapporto tra uomo e ambiente, e tra salute ed economia, che hanno codeterminato e favorito in modo decisivo questa crisi sanitaria.
Come è stato già preannunciato nell’ultimo discorso del presidente Conte, ci aspetta la fase due: ossia una lunga fase di convivenza con il virus, e pensiamo che, passata l’emergenza e il lockdown totale di questi giorni, sia fondamentale, in ambito socio-sanitario:
- Poter ragionare sull’emergenza in atto, in termini bio-psico-sociali, intendendo la salute come un sistema complesso, evitando riduzionismi biologici che non tengono conto dell’enorme impatto che i determinanti sociali (reddito, casa, formazione, socialità) hanno sulla nostra salute. A tal riguardo, il tavolo tecnico che affronterà questa fase e guiderà la politica deve essere multidisciplinare e lavorare per predisporre azioni interdisciplinari, valutando interventi e misure che mantengano la nostra comunità in salute, mettendo al centro del discorso anche la salute mentale di tutti: bambini, persone con disabilità, disoccupati, precari, solo per citare alcune delle categorie di persone che più stanno soffrendo per l’attuale lockdown.
- Per essere liberi di affrontare il tempo legato alla fase due in vera sicurezza, lavorare sui determinanti sociali di salute: reddito, formazione, lavoro, attraverso l’attuazione di politiche che rendano attivo questo tempo di permanenza in casa, preparandosi al contempo alla fase tre.
- Per prevenire disagi complessi dovuti ad una condizione di quarantena prolungata, creare veri e propri ‘corridoi sanitari’ per facilitare, in modo sicuro, i movimenti alle persone che hanno reali bisogni psicologici e sociali di spostamento (tra quartieri, tra comuni).
- Predisporre un ragionamento serio sull’organizzazione della quarantena delle persone più in difficoltà, affrontando l’annoso problema della casa per chi vive al margine.
- Promuovere un tavolo tecnico delle realtà culturali e del terzo settore per permettere di organizzare azioni di solidarietà e azioni culturali volte al benessere psico-sociale, e spirituale, dei cittadini.
- Favorire una ripresa sicura, anche da un punto di vista economico, incentrata sullo sviluppo locale, sulla valorizzazione delle comunità, del km 0, dei territorio ‘isolati’.
Infine, nel nostro piccolo, riteniamo fondamentale promuovere delle riflessioni interdisciplinari su un mutuato rapporto tra economia e salute ed economia e comunità sociali: dimensioni troppo spesso distanti e messe in contrapposizione nell’attuale modello economico.
Pensiamo, infatti, che solo creando un dialogo tra economia e salute si possa ripartire e prevenire nuove crisi come quella in atto.
E per fare ciò serve superare la concezione di Salute come semplice assenza di malattia ed abbracciarne una più ampia, in cui la società pone “la produzione di Salute” come obiettivo, come elemento essenziale e primario per lo sviluppo di ogni economia e comunità.
Edgardo Reali
Responsabile progetto Radio 32