Consulenza, psicoeducazione, supporto e gestione dello stress per familiari di pazienti affetti da Demenza

A Roma

L’allungarsi dell’aspettativa di vita con il conseguente invecchiamento della popolazione implica una crescita esponenziale di soggetti affetti da demenza e/o malattie neurodegenerative in condizioni di cronicità e disabilità permanente. Poiché le attuali offerte assistenziali non soddisfano i bisogni delle persone affette da demenza, circa l’80% dei familiari sceglie di curare il proprio caro a casa.

Si rende quindi necessario un intervento mirato, che fornisca ai caregiver di questi pazienti, strumenti utili alla gestione del decorso della malattia, anche al fine di migliorare la qualità di vita dell’intero nucleo familiare.

Finalità della consulenza è fornire ai caregiver di pazienti affetti da patologia neurodegenerativa competenze e strumenti utili all’assistenza del proprio caro, promuovendo l’empowerment individuale e riducendo lo stress della gestione della cura. Obiettivo ulteriore è la realizzazione di uno spazio di ascolto, espressione e condivisione delle emozioni che emergono in relazione alla complessità e gravosità del carico dell’assistenza.

Chi siamo?

Alessandra Maccaferri
Psicoterapeuta

Esperta in neuropsicologia e neuroscienze cliniche

Svolge l’attività di psicologa in diversi studi a Roma dopo essersi formata all’Università La Sapienza e si occupa di valutazione e supporto di pazienti affetti da patologie neurodegenerative e di interventi psicoeducativi per i caregiver. In seguito ha perfezionato il suo percorso presso la Fondazione S. Lucia di Roma, occupandosi del supporto per i familiari dei pazienti post-comatosi.

Sara Gaudenzi
Psicologa

 Diagnosi e Riabilitazione dei Disturbi Cognitivi

 Dal 2011 ho lavorato con persone con disabilità intellettiva e disturbi psichiatrici, con bambini e ragazzi con disturbi dello spettro autistico e con persone con disturbi di memoria e malattie neurologiche e neurodegenerative (Malattia di Alzheimer e altre forme di demenza), collaborando con istituti di ricerca ed ambulatori ospedalieri per la valutazione neuropsicologica dei disturbi cognitivi.

Dove?

Parioli
Garbatella/San Paolo

Demenza: sintomi, aspetti descrittivi e profili neuropsicologici

I sintomi che si presentano durante il corso delle patologie dementigene possono essere riassumibili in sintomi neuropsicologici e in sintomi non cognitivi.

I vari cluster neuropsichiatrici nelle demenze racchiudono non solo alterazioni comportamentali come aggressività e ansia, disturbi dell’attività psicomotoria, irritabilità, disinibizione, apatia, alterazione di personalità e disturbi dell’umore ma anche disturbi psicotici come deliri e allucinazioni e alterazioni neurovegetative come ad esempio i disturbi del sonno, i disturbi del comportamento alimentare e i disturbi del comportamento sessuale.

Sono inoltre presenti sintomi prettamente cognitivi come l’amnesia, l’afasia, l’aprassia, l’agnosia, deficit attentivi, sintomi disesecutivi, disturbi del linguaggio e deficit delle social cognition.

La malattia colpisce ognuna di queste funzioni, tuttavia le perdite si manifestano in ogni individuo in modo peculiare e con livelli diversi di gravità. Tali perdite determinano comunque un cambiamento radicale della persona e la reazione a questo cambiamento è soggettiva.

Per tentare di afferrare il senso di disorientamento che possono sperimentare questi pazienti, la descrizione della “dimensione personale” in Ricoeur potrebbe essere delucidante. L’autore spiega come la dimensione personale sia fondata sulla narrazione di un chi che si articola in chi parla, chi agisce, chi si racconta e in chi è il soggetto morale (Ricoeur P., 2011). Appare evidente come al fine di svolgere queste funzioni sia necessario un linguaggio, un’abilità esecutiva, una memoria e una cognizione sociale. È quindi intuibile che, il verificarsi del decadere delle varie strutture e dei network che sottendono queste dimensioni durante il decorso di una patologia neurodegenerativa, comporti un’alterazione e uno smarrimento della personalità con un completo mutato senso dello “stare al mondo”.

Con il procedere della malattia il paziente sperimenta uno stato confusionale ed uno scarso controllo del suo comportamento. Ciò non significa però che il comportamento del paziente sia privo di significato, esso è sempre una reazione o una risposta ai suoi bisogni, desideri o emozioni. I disturbi comportamentali sono quelli che incidono maggiormente sulla qualità di vita sia dei pazienti sia dei familiari.

I famigliari spesso riescono ad accettare, almeno in parte, il decadimento cognitivo ma non riescono a elaborare la “perdita” della persona che non riconoscono più come il loro caro a causa dei disturbi del comportamento. Questi disturbi, infatti, rappresentano la più frequente causa di istituzionalizzazione per il paziente e di burn-out per il caregiver.

Il procedere della malattia prevede alcune fasi che hanno, però, solo un valore descrittivo e possono essere osservate contemporaneamente in uno stesso paziente.

Esiste una prima fase reattiva o psichiatrica caratterizzata da disturbi di memoria iniziali, con conseguenti reazioni di tipo ansioso o depressivo.

È poi presente una seconda fase, la fase neuropsicologica, che presenta un’evidente compromissione delle funzioni cognitive che divengono deficitarie con un diverso ordine temporale.

A seguire si verifica la fase neurologica con la compromissione delle funzioni vegetative, che vanno dall’incontinenza urinaria e fecale fino all’incapacità di deambulazione.

In ultimo si presenta la fase così detta internistica, in cui la mobilizzazione o l’allettamento causano una serie di conseguenze, dalle piaghe da decubito agli episodi di delirium.

È importante considerare però come ci suggerisce Trabucchi nel 2015 che:

“… vi è una presenza psichica significativa anche quando è nascosta dietro l’apparente incapacità comunicativa e intellettuale tipica delle fasi avanzate della malattia”. (Trabucchi M., 2015)

Per comprendere meglio il motivo per il quale il decadimento non avviene per tutti i pazienti nello stesso modo e nei medesimi tempi, è necessario rifarsi al modello attivo di riserva di Stern del 2002 (Stern Y., 2002).

L’autore per spiegare la resilienza del cervello e della mente al danno cerebrale distingue la riserva cerebrale dalla riserva cognitiva.

La riserva cerebrale (brain reserve) è la capacità strutturale del cervello di far fronte al danno neuropatologico grazie all’efficienza e alla flessibilità delle sue reti neurali come se fosse l’hardware. Le differenze individuali della capacità di riserva cerebrale indicano il modello passivo di riserva.

La riserva cognitiva (cognitive reserve), invece, è la capacità di funzionale del cervello e di ottimizzare le sue prestazioni mediante processi di compensazione come se fosse un software.

Esistono, quindi, fattori protettivi il decadimento, che agiscono a livello cerebrale e che possono essere rappresentati ad esempio dalla scolarizzazione, ma anche dall’attività fisica, dall’alimentazione, dallo stile di vita e soprattutto dall’atteggiamento emotivo.

È possibile ipotizzare, però, che non esista una rigida dicotomia tra questi due tipi di riserva, ma che essi si influenzino vicendevolmente così come sarà presentato in seguito. Le variabili che possono interagire sono molteplici e rendono spesso di difficile comprensione i vari quadri clinici.

Esiste, ad esempio, una condizione medica in cui il disturbo depressivo si manifesta con prevalenti disfunzioni cognitive, come perdita di memoria, attenzione e concentrazione, disorientamento spazio-temporale, confusione, apatia e ritiro sociale definita pseudodemenza. Questo disturbo è potenzialmente reversibile e non corrisponde a un quadro di degenerazione progressivo e irreversibile come la demenza.