Cosa ignorano gli psicoterapeuti mentre svolgono la propria professione? Quali tabù lo riguardano? Quali dinamiche sociali ed economiche lo coinvolgono? “L’inconscio sociale dello Psicoterapeuta: quando le diseguaglianze divengono ‘naturali'” è il primo approfondimento attorno al tema dello ‘psicoterapismo‘, a seguito della pubblicazione digitale del saggio ‘Dallo Psicanalismo allo Psicoterapismo. Per una Politica della Clinica e una Psicoterapia Critica‘. Ne parliamo con il dott. Matteo Bessone, Psicologo, Psicoterapeuta, co-fondatore dello Sportello TiAscolto, co-autore del saggio, e il dott. Gianluca D’Amico, Psicologo e Psicoterapeuta cognitivo-evoluzionista, si occupa di sostenibilità delle cure in salute mentale, di storia ed epistemologia della psicoterapia e della psichiatria.
La psicoterapia modifica non solamente le persone a cui si rivolge ma anche, per mezzo di queste e di quelle a cui non riesce a rivolgersi, gli assetti sociali e il sentire e le rappresentazioni collettive. Lo psicoterapeuta si trova così, immerso in una società caratterizzata da profonde disuguaglianze a dover curare le ferite legate a meccanismi e processi strutturali di una società, incorporati dagli individui che li manifestano anche sotto forma di disagio mentale, individuale e trattabile clinicamente.
Quali sono i rischi di accettare incondizionatamente il mandato sociale di una professione che, implicitamente, richiede di adattare gli individui ad un mondo ingiusto?
Buon ascolto!
Per approfondire i temi del podcast legati all’inconscio sociale dello psicoterapeuta, vi proponiamo uno stralcio del saggio, in cui si delineano i contorni di cosa si intende con i termini psicoterapismo e inconscio sociale.
Verso lo Psicoterapismo
Innanzitutto intendiamo superare l’apparente contraddizione tra psicologia clinica e una sua concezione, funzione e pratica politica con la messa in discussione della romantica, o meglio illuministica, idea della neutralità del sapere psicologico (così come più in generale della scienza e delle pratiche di cura) e delle sue articolazioni pratiche, per sviluppare una critica funzionale al superamento degli effetti iatrogeni derivanti da tale apparente irriducibilità.
Proponiamo quindi l’utilizzo del termine “psicoterapismo” per indicare l’insieme degli effetti sociopolitici e delle funzioni sociali delle pratiche psicoterapeutiche come estensione del campo semantico e di applicazione del concetto di “psicanalismo” proposto da Castel.
Per Castel la psicanalisi diventa oggetto di studio, un corpus teorico-pratico di cui denuncia la pretesa di “assenza di gravità sociologica”. Questo dispositivo teorico-pratico, storicamente determinato, al contrario “opera nella struttura sociale”, “occupa un posto nel contesto socio-storico”, ha effetti diretti e indiretti ed “è dotata di una precisa logica di diffusione ed assume specifiche funzioni rispetto all’insieme di pratiche con esso coesistenti nello stesso campo sociale”. Castel include tutti gli effetti dell’istituzione della psicanalisi analizzati fuori dalle griglie osservative che essa impone per la propria riproduzione, in rapporto alla struttura sociale e alle analisi politiche che invalida a favore del discorso soggettivista, intimista e apolitico imposto nella privatezza della scena clinica e fuori di questa, per affermare se stessa.
L’uso del termine “psicoterapismo”, pertanto, non può essere disgiunto dal campo epistemologico da cui è stato mutuato, nè dai suoi presupposti impliciti: aspetti extraclinici, clinici e politici, oggettivi e soggettivi, socio-storici e personali, di potere e di benessere, sono sempre compresenti, insieme distinguibili ma inseparabili. La possibilità di articolare tale complementarietà non può che misurarsi sul terreno delle pratiche reali e della loro capacità di mutare, sul terreno della storia, l’organizzazione sociale e i rapporti tra forze entro cui questa si sviluppa.
La proposta del termine “psicoterapismo” non si limita all’ampliamento del concetto di “psicanalismo” verso una sua comprensione delle pratiche psicoterapiche bensì implica la possibilità e la necessità, non sviluppata in Castel, di analizzare il rapporto circolare tra l’insieme delle pratiche cliniche individuali e i loro effetti sociopolitici, da una parte, e tra questi ultimi e i loro effetti sulla salute mentale della popolazione, dall’altra.
L’analisi di Castel è parziale nella misura in cui rivela le modalità attraverso cui le pratiche cliniche influiscono sull’organizzazione del campo sociale trascurando gli effetti di questa trasformazione sulla salute mentale della popolazione limitandosi alla diffusione dell’ideologia psicanalitica. Tuttavia, non solo le pratiche psicoterapeutiche hanno effetti sia materiali che simbolici sull’organizzazione so- ciale da cui sono prodotte ma anche questa, reciprocamente, influisce in maniera più o meno diretta sulla reale salute mentale e sul benessere dei cittadini, in ottica di popolazione.
La scelta di usare la salute mentale, a livello di popolazione, come criterio per l’analisi del fenomeno dello “psicoterapismo” risponde a ragioni, in primo luogo, epistemologiche e metodologiche. Inoltre costituisce una scelta operativa ed etica tesa a conferire un valore esplicito al ruolo del campo politico (inteso come spazio di azione collettivo e riproduzione sociale) come strumento fondamentale per garantire, tutelare, promuovere, mantenere e prendersi cura di benessere e libertà di comunità e cittadini secondo il paradigma della capacitazione proposto da Sen (2014).
Così come gli psicoterapeuti, in quanto professionisti della salute mentale, maturano la consapevolezza degli effetti sugli individui a cui si rivolgono all’interno del setting clinico, una consapevolezza analoga, relativa agli effetti sociopolitici del proprio operare anche all’interno del campo clinico, in quanto cittadini, non può che maturare all’interno di pratiche e analisi propriamente politiche o politicamente connotate, seppur non necessariamente in relazione diretta con le pratiche cliniche.
Poiché una quota consistente degli effetti dello “psicoterapismo” derivano, oltre che da un inflazione pratica dell’utilizzo di pratiche cliniche, dalla sovraimposizione di categorie cliniche come matrice forzata di significato a fenomeni che non possono essere a esse ridotti, sarebbe impossibile analizzare proficuamente tali effetti, svelandoli, attraverso le stesse categorie cliniche dal cui cattivo uso sono generati.
l’inconscio sociale
Lo psicoterapeuta spesso non è consapevole della dimensione sociale, nella dimensione di sanità pubblica, in cui opera. Per inconscio sociale intendiamo la dimenticanza metodologica che porta a sottostimare, in ambito clinico, l’impatto delle variabili socio-ambientali sullo stato di salute di una persona.
Il Glossario di Promozione della Salute dell’OMS riporta: “Per epidemiologia s’intende lo studio della distribuzione di stati o eventi correlati alla salute e dei loro determinanti in popolazioni specifiche, e l’applicazione di questo studio al controllo dei problemi di salute. L’informazione epidemiologica, soprattutto quella che definisce i rischi individuali, di popolazione e/o fisico-ambientali, è stata essenziale per la sanità pubblica e ha fornito le basi per gli interventi di prevenzione delle malattie. Per lo studio delle malattie nelle popolazioni, l’epidemiologia si avvale di classificazioni di tipo sociale (es.: lo stato socioeconomico); generalmente, però, nell’analizzare e comprendere le malattie e la salute delle popolazioni non fa un uso ottimale delle scienze sociali, comprese le informazioni di politica pubblica ed economica. L’epidemiologia sociale si è affermata come disciplina negli ultimi due decenni e consiste nello studio dello stato di salute e di malattia delle popolazioni. Essa utilizza informazioni di tipo sociale, psicologico, economico e quelle riguardanti le politiche pubbliche e se ne avvale nella definizione dei problemi di sanità pubblica e nella proposta di soluzioni. Con il progredire e l’evolversi dell’epidemiologia come disciplina, queste distinzioni in futuro avranno meno importanza”. (WHO 1998)
[…]
Curiosamente, la stessa psicoanalisi ha coniato un termine per indicare i rischi della tendenza a voler adattare il paziente alle proprie teorie cliniche: il “letto di Procuste”, un’immagine piuttosto cruda proveniente dalla mitologia greca, in cui il brigante Procuste rapiva incauti viaggiatori e li adagiava sul proprio letto, procedendo poi ad allungargli o scorciargli le membra a seconda che essi fossero troppo alti o troppo bassi per adattarsi perfettamente alla forma del giaciglio. Nonostante questa ammonizione clinica, per la verità non sempre applicata, la psicoanalisi e le psicoterapie in generale sembrano fallire nel farne un uso più metateorico, mettendo in discussione la fitness delle proprie categorie di interpretazione del mondo sociale; rivelando così nuovamente una difficoltà ad uscire dalla ristrettezza della visione unicamente clinica della realtà.
Una migliore comprensione e contrasto del fenomeno dello “psicoterapismo” può avvenire, pertanto, solo attraverso ambiti del sapere e di azione, distinti e complementari rispetto a quelli clinici, quali, ad esempio, l’antropologia medica, la sociologia e l’epidemiologia sociale.
Insieme alla sociologia, l’antropologia medica fornisce strumenti concettuali e metodologici fondamentali per il decentramento da pratiche e saperi che, supposti neutrali, non sono pienamente comprensibili se non nella relazione biunivoca che intrattengono con il sistema culturale, sempre storicamente determinato, risultato di dinamiche sociali, economiche, simboliche che le stesse pratiche contribuiscono ad alimentare15 (Pizza, 2005, RSS 2019).