Progetto Micro Aree: nuove strategie per prendersi cura della città

Progetto Micro Aree: nuove strategie per prendersi cura della città

Presentiamo uno dei progetti più innovativi nell’ambito dell’integrazione socio-sanitaria. Un progetto che si pone l’obiettivo di fornire un’assistenza integrata alle persone che vivono in complesse situazioni di marginalità sociale.

Il progetto, nato a Trieste, nel corso degli anni ha preso il nome ‘Micro Aree’, dato che si focalizza su aree urbane relativamente piccole (1000-3000 abitanti).

E’ una strategia di coordinamento degli enti deputati alla cura e assistenza di persone con disagi complessi multifattoriali, attraverso una riorganizzazione e ri-funzionalizzazione del sistema di welfare, macchina elefantiaca e particolarmente inefficace che utilizza enormi risorse e partorisce topolini, in quanto difficilmente riesce ad avere un reale impatto sulla vita dei propri utenti. Eppure, per gli ‘ultimi’, i soldi spesi non sono pochi. Al contrario si spende moltissimo, ma male. Sono pochi i soldi che arrivano direttamente a loro, in quanto le risorse sono eccessivamente frammentate tra i diversi servizi di assistenza che vengono proposti. Servizi che si basano sempre sull’idea astratta di malattia e disagio, idea che letteralmente non vede e valorizza la persona in carne ed ossa.

Le Micro Aree affrontano questo problema, proponendo una strategia che probabilmente è uno degli esempi di più grande innovazione dei servizi di welfare rivolti a persone in grande difficoltà socio-sanitaria: un progetto in grado di coniugare l’aspetto tecnico dell’assistenza con una più ampia attenzione al contesto esistenziale in cui la persona vive, concentrandosi sulle determinanti sociali di salute che possono disegnare traiettorie di vita che incidono profondamente sul percorso di cura e sullo stato di salute.

Abitualmente, le determinanti sociali vengono totalmente ignorate da un approccio medico di tipo riduzionista ed organicista, un approccio miope concentrato sui sintomi e disinteressato alla salute ‘globale’, alla vita concreta dei propri pazienti, come se le malattie non si innestassero su questo terreno pratico.

La Micro Area, quindi, è una strategia di analisi e ricerca dei problemi delle persone ancora prima che una strategia d’intervento. Un osservatorio privilegiato per rendere evidenti le infinite connessioni tra la dimensione sociale e quella sanitaria.

Per farvi capire che stiamo parlando di cose molto concrete, per spiegarvi l’utilità del progetto Micro Area, utilizziamo una piccola, banale, storia che raccogliamo dalla testata giornalista 180 gradi:

“A Trieste c’era un uomo che soffriva di influenza tutto l’inverno. Oltre al suo costante malessere, non avendo i soldi per pagarsi le medicine il suo trattamento pesava sulla spesa pubblica. Quando gli operatori di “Microarea” lo hanno raggiunto hanno scoperto che non aveva il riscaldamento in casa. E questo è bastato per cambiare le cose: un operatore che andasse casa per casa ad analizzare il bisogno di salute e i soldi per riparare una caldaia. Si è prevenuta la spesa sanitaria e la si è convertita in intervento sociale, mettendo in comune risorse e budget rivolti alla persona in una innovativa e più efficace forma di riconversione della spesa. Sembra una banalità, ma in realtà è una pratica rivoluzionaria, che supera la frammentazione e scarsa comunicazione tra i diversi servizi che porta a sperperare un sacco di soldi.”

L’innovazione sociale ha questa caratteristica: risolve in modo quasi banale difetti decennali di un sistema inefficiente che da poco ai cittadini pur spendendo moltissimo.

In tempi di crisi, la strategia organizzativa proposta dal progetto Micro Aree illumina nuove possibilità operative burocratico-amministrative in grado di valorizzare e rinnovare l’utilizzo delle risorse esistenti: in questo protocollo di sperimentale d’intervento, comune, ASL, istituti delle case popolari, privato sociale lavorano insieme, elaborando strategie condivise per una presa in carico dei contesti, dell’habitat sociale, in cui le persone ‘fragili’ vivono. E’ un progetto che pone grande enfasi sulla coesione sociale dei territori, come fattore in grado di migliorare la salute delle persone, e soprattutto degli enti che si occupano della presa in carico sociale e sanitaria delle situazioni di vita più complicate. Enti che non possono più lavorare da soli, ognuno alle prese con un mandato sociale impossibile, ma al contrario devono collaborare sinergicamente per trovare costantemente delle sintesi operative: perché la risposta di cura migliore e l’intervento socio-sanitario più individualizzato possibile.

Il progetto ‘Micro Aree’, come detto, si è sviluppato a Trieste ed è un’evoluzione del modello di presa in carico territoriale sviluppata nei servizi di Salute Mentale: al centro viene messa la persona, attraverso una diversa gestione delle risorse (budget di salute).

Un approccio in grado di prevenire emergenze sanitarie e sociali e migliorare al contempo il clima e la qualità di vita di un intero quartiere, attivando le risorse informali della cittadinanza, favorendo la conoscenza reciproca tra le persone, coniugando esigenze riabilitative, educative e di reinserimento sociale e lavorativo con ‘la cura’ del quartiere e degli spazi di una città sempre più abbandonata a se stessa.

Attraverso una riorganizzazione dei flussi informativi che fotografano la situazione problematica e una riforma delle pratiche professionali di molti operatori della salute (infermieri, psicologi, educatori, ecc.), a parità di spesa, si possono utilizzare le risorse in modo più sensato, singergico, utile.

Condividiamo un articolo che spegna bene questa strategia d’intervento, “The “Microaree-Project” in the Trieste districts. Innovative actions for global health in primary care reassessment“, scritto da chi negli ultimi 15/20 anni ha sviluppato questa possibile rivoluzione del sistema di welfare.

I primi interventi (“Progetto Habitat e sviluppo di comunità”) sorsero in cinque quartieri della città ad alta problematicità socia- le ed elevata richiesta di servizi (sanitari e non solo), ponendo da subito enfasi, non abi- tuale per la sanità, sull’intervento sull’ambiente di vita delle persone. Venivano individuate alcune zone di 1.000/2.000 abitanti con insediamenti di case popolari, in particolare stato di degrado abitativo o sociale. Fin dal- l’inizio si erano cercate alleanze intersettoriali, in primo luogo con i gestori delle poli- tiche ed interventi sociali e dell’edilizia popolare. Si stipularono quindi accordi, adottati con singoli atti deliberativi dell’Azienda per i Servizi Sanitari (ASS1), del Comune di Trieste e dell’ATER (Azienda Territoriale per l’Edilizia Residenza) per la gestione congiunta di un programma innovativo di integrazione fra enti che condividevano l’obiettivo di “migliorare la qualità della vita e la tutela della salute degli abitanti, sia in termini di prevenzione del disagio sociale, che dei ricoveri ospedalieri e in strutture residenziali protette, che di cura e assistenza ai gruppi più vulnerabili” (Maggian, 2000).

Le azioni intraprese nelle Microaree rispondevano ai seguenti criteri:

 

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