Indicazioni per un uso appropriato dei farmaci in salute mentale

Indicazioni per un uso appropriato dei farmaci in salute mentale

Si presenta qui di seguito il documento “Proposte e indicazioni di buona pratica per un uso appropriato dei farmaci nei percorsi di cura, a cura di Roberto Mezzina, Barbara D’Avanzo e Beppe Tibaldi, elaborato dal Comitato Scientifico dell’UNASAM che costituisce proposta operativa di discussione per il superamento delle criticità in ordine al corretto utilizzo delle terapie farmacologiche nei servizi di salute mentale. L’UNASAM ha organizzato un seminario per presentare, e approfondire le tematiche del documento con gli autori stessi.

L’UNASAM è la più importante rete nazionale di Associazioni per la Salute Mentale a cui aderiscono 70 Associazioni impegnate in tutte le regioni d’Italia.

La sede nazionale, legale e operativa si colloca all’interno dell’Istituzione Gian Franco Minguzzi della Provincia di Bologna, a Bologna, presso l’ex Manicomio Roncati, oggi centro multifunzionale dell’Azienda USL.

L’U.N.A.SA.M. rappresenta in maniera unitaria le associazioni aderenti nei confronti delle istituzioni, delle organizzazioni nazionali e internazionali, della società in generale. A livello Europeo aderisce ad EUFAMI (European Federation of Associations of Families of Mentally Ill People) di cui fan parte 17 paesi.

Vi proponiamo i podcast degli interventi degli autori (Puoi vedere il video integrale del seminario, cliccando qui) e, a seguire, il documento integrale stesso (puoi scaricare la versione in pdf, cliccando qui).



Info sugli autori del documento

Roberto Mezzina. Psichiatra. Ha contribuito negli ultimi trent’anni all’esperienza di Trieste, diventando responsabile dal 1995 di un Centro di Salute Mentale a 24 ore. Ha sviluppato molteplici collaborazioni internazionali in Europa, America, Australia, Asia in tema di organizzazione dei servizi, pratiche innovative, ricerca, formazione, contribuendo a fondare, con John Jenkins, l’International Mental Health Collaborating Network nel 1990. È dal 2010 direttore del Centro Collaboratore dell’OMS per la ricerca e la Formazione presso il Dipartimento di Salute Mentale di Trieste.

Giuseppe Tibaldi, Direttore servizi psichiatrici Area Nord Dipartimento Salute Mentale AUSL Modena, componente Direttivo SIEP (Società Italiana di Epidemiologia Psichiatrica), autore di diversi libri.

Barbara D’Avanzo, ricercatrice presso il Dipartimento di Ricerca Politiche per la Salute dell’Istituto Mario Negri e capo del laboratorio di Epidemiologia e Psichiatria Sociale.



Proposte e indicazioni di buona pratica per un uso appropriato dei farmaci nei percorsi di cura

a cura di Roberto Mezzina, Barbara D’Avanzo e Beppe Tibaldi

PREMESSA

Questo documento, stilato dal Comitato Scientifico dell’UNASAM ed approvato dal direttivo della stessa associazione, ha l’obiettivo di portare all’attenzione del dibattito nazionale il tema dell’uso dei farmaci nei servizi di salute mentale, identificando le criticità principali e le priorità da affrontare. Il punto di vista principale da cui si muove è quello di chi intende tutelare il diritto degli utenti (in senso allargato, ivi compresi quindi i familiari) dei servizi di salute mentale a terapie farmacologiche appropriate, aggiornate, sicure, evitando abusi e cattive pratiche; promuovere il consenso ad esse sulla base di una informazione corretta; collocare le terapie farmacologiche nell’ambito di un progetto complessivo – terapeutico abilitativo – che preveda una serie di altri interventi e un lavoro d’équipe; assicurare le condizioni del dialogo e della negoziazione, nell’intento di superare ogni forma di coercizione, esplicita o implicita.

INTRODUZIONE

Come testimoniano i rapporti OSMED curati dall’AIFA, gli psicofarmaci sono largamente usati e le prescrizioni di antipsicotici e antidepressivi sono in aumento da diversi anni. L’incremento della prescrizione riguarda non solo gli specialisti e i servizi di salute mentale e di psichiatria, pubblici e privati, ma anche e soprattutto la medicina generale per le classi di farmaci più usate. Al tempo stesso, assistiamo all’aumentare dell’ informazione sugli effetti collaterali e sui danni alla salute delle persone che li utilizzano.

Da anni molti warnings sono stati emessi in relazione sia agli effetti collaterali e agli eventi avversi, specie dei neurolettici, ma non solo, specie in ambito neurologico, cardiologico e dismetabolico, sia all’impatto sugli stili di vita (ad esempio, inattività, sedentarietà, abuso compensativo di sostanze, tabagismo, ecc). Tuttavia, questo è implicitamente accettato come un danno collaterale che non è sufficiente a mettere in discussione l’utilità degli psicofarmaci. Poiché il loro utilizzo è prolungato, massiccio e diffuso, questa posizione è evidentemente semplicistica.

La ricerca sullo sviluppo di nuovi psicofarmaci segna il passo: ipotesi neurotrasmettitoriali dei vari disturbi non trovano sufficienti riscontri ed evidenze scientifiche, i farmaci non si rivelano specifici per le condizioni da trattare, mentre gli effetti collaterali risultano ancora troppo pesanti. Proprio perché le case farmaceutiche sono consapevoli dei limiti degli psicofarmaci e delle difficoltà a trovare una nuova base teorica per svilupparne di migliori, diventa vitale “spingere” il mercato, e farlo rispondere alle necessità di vendita, invece che il contrario.

Nei servizi di salute mentale, attorno agli psicofarmaci ruota la maggior parte delle prestazioni. Non solo perché prescrizione, valutazione, controllo, sostegno alla compliance, esami ematochimici, somministrazione (e anche rapporti con gli informatori scientifici) richiedono del tempo, ma anche perché i processi decisionali degli operatori sono fortemente condizionati dalla centralità di questa strategia. Questo ha creato un impoverimento della risposta complessiva del servizio alla sofferenza, con un limitato investimento sulle strategie alternative, che alimenta quotidianamente l’immagine di servizi troppo centrati sulla prescrizione farmacologica, incapaci di offrire con la qualità e la continuità necessaria interventi e approcci di altro tipo. Ne deriva anche l’idea, neppure troppo implicita, che le competenze veramente importanti siano quelle farmacologiche e che tutto il resto sia secondario.

La convinzione, da parte dei medici, che la prescrizione – ma soprattutto la regolare assunzione – di psicofarmaci sia un dogma, si traduce in un ostacolo a studiare come si possano trattare le persone senza il ricorso immancabile ai farmaci o usando i farmaci in modo diverso.

Molte persone hanno paura dei farmaci e temono di diventarne dipendenti. Nei servizi, molti vivono il farmaco come un’imposizione, non ne tollerano gli effetti collaterali, e non li assumono o li assumono con scarsa regolarità. Se si vuole garantire il diritto alla cura è necessario avere una visione più ampia, che comprenda una serie altre strategie, anche alternative.

L’utilizzo degli psicofarmaci non è ottimale, con documentazione di frequenti politerapie di farmaci della stessa classe e di classi diverse. Anche se poi è il singolo medico a rispondere della prescrizione, la condivisione delle scelte con i diretti interessati è l’unica strategia per non essere soli, per aprire il confronto, e quindi avviare un cambiamento. Per questo, anche la condivisione tra operatori è essenziale, perché un prescrittore è responsabile di quello che fa anche di fronte alla comunità dei medici. Questi principi di condivisione delle scelte appaiono importanti perché mettono in discussione l’autoreferenzialità del prescrittore, che ripone nella prescrizione la propria intoccabilità e il proprio potere. Con ancora maggior forza, queste considerazioni valgono per i Dipartimenti di Salute Mentale, in quanto servizi pubblici.

La Legge 219/17 (su consenso informato, disposizioni anticipate di trattamento e pianificazione condivisa delle cure) ha ribadito che ogni cittadino è proprietario delle decisioni sanitarie che lo riguardano. Questo principio è spesso violato in salute mentale, alla luce di un principio di acquisizione impropria da parte dei professionisti di una delega alle decisioni terapeutiche. La titolarità dell’utente e la condivisione delle scelte terapeutiche non può tuttavia trascurare il contesto microsociale in cui la persona vive. Va ribadito che la separazione del soggetto sofferente dalla sua rete familiare nella presa in carico (spesso in funzione di un principio artificioso di rispetto della privacy) produce effetti deleteri nella maggioranza delle situazioni. Invece è opportuno adottare il principio della negoziazione e della contrattazione condivisa che, riguardando tutto il progetto terapeutico abilitativo, non può non comprendere la prescrizione e l’assunzione dei farmaci. Inoltre, la stipula di un contratto scritto permette di mettere in luce e affrontare le resistenze dei medici connesse a preoccupazioni di natura “difensiva” che, pur legittime, non possono contrapporsi alle esigenze degli utenti e di un uso ragionato e parsimonioso dei farmaci basate su una valutazione farmacologica e clinica complessiva, anche nei percorsi di sospensione e ‘deprescrizione’.

Occorre dunque identificare il modo in cui i farmaci sono prescritti, somministrati e assunti, i contesti istituzionali e di servizio in cui ciò avviene, la serie più ampia di risposte in cui si inseriscono. In particolare nel servizio pubblico, la farmacoterapia va inserita all’interno di un approccio d’equipe multidisciplinare e pluriprofessionale. L’OMS ha identificato i percorsi di cura all’interno dei quali, consideranti fattori psicosociali, necessità informative e psicoeducative, elementi di supporto da attivare, vengono poi prescritti i farmaci. (Nota bene: Viene raccomandato l’uso della Guida Interventi del mhGAP Programme dell’OMS, disponibile in versione italiana anche nella versione 2.0, non soltanto per i non-specialisti.)

E’ necessario realizzare una pratica corretta che informi le persone sugli effetti, desiderati e non, degli psicofarmaci; che non cali il farmaco dall’alto, dal ‘prescrittore’ al ‘paziente’, ma che lo significhi come gesto di cura e di attenzione, insieme a tanti altri che riguardano la sua vita; che lo moduli rispetto all’estrema variabilità individuale della risposta e lo inserisca costantemente in un progetto terapeutico e riabilitativo condiviso, negoziato e discusso con le persone. E’ anche compito dei servizi di salute mentale e degli psichiatri, come ogni medico che prescrive farmaci, guardare non solo al profilo di sicurezza dei farmaci, agli effetti collaterali anche a lungo termine, ma alla salute in senso olistico, fisica e mentale. (Nota bene: Va fatto riferimento alle linee guida dell’OMS sulla comorbilità, di cui è opportuno sia realizzata una traduzione italiana. Guidelines for the management of physical health conditions in adults with severe mental disorders (ISBN 978-92-4-155038-3 https://apps.who.int/iris/bitstream/handle/10665/275718/9789241550383-eng.pdf?ua=1)

In sostanza, proponiamo che:

  • Il farmaco non sia considerato la prima o unica risposta, e che vadanorinforzati, e resi disponibili in ogni servizio, tutti gli altri interventi nonfarmacologici, da considerare indispensabili, non opzionali;
  • si standardizzino gli strumenti per il controllo e la correzione di un uso inappropriato dei farmaci, quali ingiustificate politerapie, associazioni tra classi diverse, uso prolungato di benzodiazepine, prescrizioni off-label. Si chiede che questi meccanismi di controllo entrino a far parte deisistemi informativi dei Dipartimenti di Salute Mentale;
  • si utilizzino progetti e contratti scritti condivisi sulla terapiafarmacologica, secondo un modello di percorsi di cura condivisi in cui tutta la rete intorno all’utente sia inclusa e possa contribuire, assumendosi una responsabilità esplicita rispetto al percorso terapeutico;
  • si conducano regolarmente monitoraggi sulla salute fisica, come parte dell’attività di cura e strettamente connessa alla prescrizione farmacologica, e quindi senza delegarli al medico di medicina generale;
  • si riconosca e si disincentivi l’uso del farmaco come forma di contenzione chimica;
  • si introducano – e si ribadiscano periodicamente, nelle occasioni di aggiornamento – i principi per l’uso razionale: dose minima efficace, titolazione, eliminazione tendenziale delle politerapie;
  • si introducano strumenti per facilitare i percorsi di ‘deprescrizione’, nelle situazioni a decorso favorevole e per le persone che lo richiedano;
  • si imponga ai DSM di rendere conto dell’utilizzo di psicofarmaci e si sottragga il sostanziale monopolio della formazione alle case farmaceutiche, riducendo gli spazi di rapporto personale diretto degli informatori scientifici col singolo medico a favore di momenti pubblici di informazione e discussione;
  • si costituisca una task force nazionale che produca un documento di raccomandazioni. (Nota bene: Un esempio interessante è rappresentato dalle “Raccomandazioni per l’impiego dei farmaci antipsicotici nel trattamento a lungo termine delle persone con disturbi schizofrenici” della Regione Emilia-Romagna.)


INDICAZIONI DI BUONE PRATICHE

1. Contestualizzare l’uso del farmaco

Il ricorso al farmaco non deve essere considerato in sé la prima risposta, necessaria ed inevitabile, alle forme di sofferenza psichica. Soprattutto deve essere contrastato il principio attualmente dominante che prevede di iniziare subito una terapia farmacologica e, poi forse, se disponibile, offrire un intervento “non farmacologico” (psico-sociale). In molti casi, possono essere offerti interventi non farmacologici di pari o superiore efficacia (come ad esempio nel caso dei disturbi d’ansia e depressivi).

2Offrire trattamenti psicosociali

Se il farmaco deve essere utilizzato come una possibilità terapeutica tra le altre, la disponibilità di trattamenti non farmacologici offerti in modo continuo, competente e personalizzato è indispensabile. Questo chiama in causa la formazione, le funzioni e l’organizzazione del servizio, e tutto il governo e gli obiettivi del servizio. L’offerta di interventi non farmacologici deve essere gar- antita anche nel contesto della medicina generale (ad esempio, attraverso la presenza di psicologi nelle Case della Salute, nei nuclei e nelle aggregazioni dei medici di medicina generale), al fine di evitare che quella farmacologica sia l’unica risposta alle situazioni di disagio e di disturbo che non vengono in- dirizzate ai Centri di Salute Mentale.

3. Consenso informato e pianificazione condivisa

E’ opportuno muoversi sempre nella direzione del consenso informato. Per- tanto, occorre sviluppare approcci e strategie volte alla corretta informazione anche sulle scelte possibili, alla negoziazione e alla collaborazione con l’utente, con la conseguente personalizzazione della prescrizione all’interno del programma terapeutico-abilitativo individuale. Va promosso il coinvolgi- mento dell’utente e della sua rete sociale in una pianificazione condivisa delle cure, in modo tale da favorire una compartecipazione effettiva alle decisioni terapeutiche. Va promosso con forza il principio che tale pianificazione condi- visa delle cure si può anche attuare attraverso dei contratti scritti che coinvol- gano tutti i soggetti sulla scena terapeutica, di cui sono esempi le Direttive di Trattamento Anticipate, i contratti di Ulisse, il joint crisis planning, i contratti nei disturbi gravi di personalità, i Percorsi di Cura Condivisi e va realizzata la relativa informazione e formazione in tal senso.

4. La relazione terapeutica

La costruzione di una buona relazione terapeutica, che è alla base di una presa in carico multidisciplinare e multidimensionale in cui il farmaco è uno degli strumenti più importanti, riguarda tutta la rete familiare del soggetto sof- ferente, sia dove vigono rapporti familiari meno problematici e conflittuali, sia dove i rapporti sono difficili e da ricostruire o riparare. Ciò può avvenire solo nel rispetto della volontà della persona, che rimane titolare delle scelte che la riguardano, in particolare di quelle farmacologiche, dove più alto può essere il rischio di un’accettazione passiva o, se non forzata, spesso forzosa.

5. Principio del rapporto beneficio-danno

La prescrizione e l’uso degli psicofarmaci deve considerare attentamente benefici e rischi di possibili danni a livello individuale, e in ogni caso rispettare il principio della dose minima efficace (Nota bene: Ciò richiede una titolazione un’attenta e temporalizzata che guardi all’efficacia e alla tollerabilità in maniera complessiva. La proposta di titolazione (anche attraverso il dosaggio ematico di farmaci molto utilizzati, come la clozapina e altri) va indicata come scelta necessaria, soprattutto nei casi in cui, per gli effetti indesiderati o per la richiesta del diretto interessato (e dei suoi familiari), venga richiesta una riduzione graduale delle dosi assunte quotidianamente. Il percorso di riduzione, se accompagnato dalla titolazione ematica, consente di aderire alle richieste degli interessati, senza perdere di vista l’esigenza della maggioranza degli psichiatri, di rimanere nel range terapeutico). Vanno introdotti principi basilari per un uso razionale, a partire dal rispetto rigoroso delle leggi vigenti e delle in- dicazioni dell’AIFA. Ad esempio:

  • ridurre la prescrizione al di fuori delle indicazioni d’uso autorizzate – c.d. uso off-label – alle condizioni previste dalla legge, (Nota bene: Art. 3 D.Lgs. 17 febbraio 1998, n. 23, convertito, con modificazioni, nella Legge 8 aprile 1998, n. 94.1) ovvero sulla base di evidenze documentate in letteratura e in mancanza di alternative terapeutiche migliori (Nota bene: L’uso di farmaci off-label espone il paziente a rischi potenziali, considerato che l’efficacia e la sicurezza di questi farmaci sono state valutate in popolazioni diverse da quelle oggetto della prescrizione off-label);

  • promuovere l’uso di monoterapie, quanto meno all’interno di una singola classe di farmaci, e adottare le procedure di precauzione previste; (Nota bene: Le indicazioni AIFA del 2006 prescrivevano, in conseguenza delle prime dimostrazioni di cardiotossicità dei neuroletti- ci/antipsicotici, procedure rigorose di controllo della funzionalità cardiaca, evitando la simultanea prescrizione di più di un neurolettico e quella concomitante delle benzodiazepine) l’uso di politerapie, nell’idea che possano trattare sintomi isolati o dimensioni psicopatologiche distinte, (Nota bene: Il ricorso alle politerapie va esplicitamente disincentivato anche sulla base dell’aumento – dimostrato – del rischio di gravi rea- zioni avverse sul piano cardiologico (con possibilità di morte improvvisa) quando si associno più antipsicotici, o nell’associare un antipsicotico e un antidepressivo (pratica che sta diventando straordinariamente frequente). Analoghe considerazioni valgono per il fenomeno più frequente, in assoluto: l’aumento ponderale, rapidissimo e difficilmente reversibile, dovuto ad un’alterazione del metabolismo) e spesso frutto di una ‘stratificazione’ di successive prescrizioni, aumenta com’è noto l’incidenza di effetti collaterali ed avversi.

  • ridurre la frequenza dei cambiamenti e dei passaggi da un farmaco all’altro (switch) non sufficientemente motivati sul piano terapeutico o della tollerabilità, spesso promossi e sospinti dal marketing di nuove molecole.6. Migliorare la prescrizione nella medicina generaleLa prescrizione da parte dei medici di medicina generale deve potersi av- valere di supporto, consigli e indicazioni da parte dei Servizi di Salute Men- tale, all’interno di forme di collegamento, integrazione e collaborazione che vanno previste e facilitate a livello di sistema. Va realizzato un piano di cura condiviso con gli stessi Servizi di Salute Mentale soprattutto in presenza di situazioni di maggiore complessità che richiedono una presa in carico glob- ale.
7. No alla contenzione chimica

Va abbattuto l’uso della cosiddetta “contenzione chimica” (Nota bene: Va ricordato che la sedazione è un effetto collaterale indesiderato di neurolettici e ansiolitici e si associa ad altri negativi, oltre che ad un possibile peggioramento delle condizioni generali, cui alla fine si risponde a volte con la contenzione meccanica). 

Per fare questo, vanno capiti i fattori che si associano ad un uso frequente, o abituale, dei farmaci per attuare una pesante sedazione per mere finalità di controllo comportamentale, e vanno affrontati i nodi complessi dell’organizzazione, delle risorse e della formazione. In ogni caso, va sviluppata una cultura improntata alla negoziazione, alla de-escalation e al dialogo con l’utente (Nota bene: E’ suggerita la diffusione del materiale formativo dell’OMS con relativa programmazione di eventi di formazione. Vedi https://www.who.int/publications/i/item/who-qualityrights-guidance-and-training-tools).

8. Ridurre i rischi a lungo termine

Vanno considerate con attenzione le terapie prolungate, allo scopo di rimuovere eventuali inerzie e ridurre il rischio di danni sulla salute psico-fisica a lungo termine. Pertanto le terapie prescritte nei servizi dei DSM, specie quelle di lungo periodo, devono venire verificate regolarmente, e non meno di una volta all’anno. Va valutato attentamente l’impiego di neurolettici long- acting ogni qualvolta sia possibile sostituirli, in maniera concordata conl’utente, con la negoziazione e la modulazione di una terapia per os; in ogni caso va tentata – ove possibile – la riduzione graduale e l’eventuale sospen- sione nell’ambito di una riduzione complessiva del loro uso nei DSM.

9. Sospensione concordata

Va affrontata la questione del non-uso o della sospensione dell’uso del far- maco (de-prescribing) attraverso procedure definite in cui si “prova in modo concordato” a diminuire e a sospendere le terapie, all’interno di un’alleanza terapeutica e di un’offerta complessiva, anche abilitativa ed emancipativa. In prima battuta, va studiato come operatori e utenti si pongono di fronte a stru- menti di deprescrizione, e quale ne sia l’accettabilità.

Va poi definito a chi proporre tali percorsi: persone con un carico farmacologico eccessivo o ingente, persone che desiderano ridurre o eliminare i farmaci, persone in fase di recovery. Nota bene: Su questo punto è necessario fare riferimento alle iniziative ed alle proposte che vengono dall’International Institute for Psychiatric Drug Withdrawal (IIPDW – www.iipdw.org) che ha iniziato le proprie attività nel 2019, di cui è attiva una sezione italiana che attualmente conta circa 140 membri (psichiatri, psicologi, infermieri, familiari, utenti, attivisti, ecc) e che coinvolge i “survivors”. Questi hanno realizzato alcuni dei siti di maggiore rilevanza, che puntano ad evitare il fatto che chi vuole ridurre o sospendere lo faccia in modo sbagliato, finendo per dare ragione a chi crede che non vadano (mai più) sospesi.

10. Attuare la tutela complessiva della salute

Allo scopo di tutelare la salute fisica insieme con la salute mentale, è necessario introdurre una corretta alimentazione e stili di vita “sani e attivi”, senza che, tuttavia, queste diventino ulteriori “prescrizioni”. E’ peraltro indispensabile che i sistemi informativi dei DSM includano i parametri di monitoraggio della salute fisica (ECG, circonferenza addominale, peso, ecc.) e che venga affidato al personale medico e infermieristico la responsabilità di rivalutazione periodica in collaborazione coi medici di medicina generale, superando la diatriba (con le conseguenti resistenze ad assumersene la responsabilità) sulla competenza o sulla delega di tale monitoraggio.

11. Bilancio sociale dei servizi

I Dipartimenti di Salute Mentale delle Aziende Sanitarie devono produrre, tramite gli uffici della farmaceutica aziendali e a livello regionale, “bilanci so- ciali” che rendano conto dell’uso degli psicofarmaci e della spesa ad essi relativa, prevedendo delle azioni specifiche in caso di aumento. Va ridotta la personalizzazione del rapporto tra informatori scientifici delle aziende farmaceutiche e i singoli medici, creando eventi pubblici di presentazione dei farmaci e di discussione del loro profilo costo/beneficio che abbiano reale valenza formativa.

12. Task force per raccomandazioni nazionali

Si deve procedere ad una sistematizzazione delle conoscenze per un “uso razionale degli psicofarmaci” (per meglio dire, un “uso parsimonioso e ragionato”), calato nel contesto dei servizi italiani, attraverso una consensus conference realizzata da una task force istituita presso l’ISS, sulla base di questi primi orientamenti. E’ auspicabile che questa sia l’occasione per avvi- are ai livelli e nei termini opportuni un processo di incentivazione e di sup- porto alla ricerca indipendente sui farmaci con finanziamenti idonei, studiando il rapporto tra investimenti e riduzione delle spese per i farmaci immessi sul mercato, e spesso a condizioni scarsamente negoziabili.
Se la task force/consensus conference non risultasse attivabile in tempi ragionevoli, si propone la stesura di raccomandazioni e relativa base di evidenza, corredate di materiale informativo, documenti delle agenzie sanitarie e delle società scientifiche, strumenti che l’UNASAM metterà a disposizione di tutte le associazioni di utenti e familiari e che offrirà a tutti i direttori, gli psichiatri e gli operatori dei Dipartimenti di Salute Mentale Italiani.

Bologna 13 maggio 2021

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