
Sono a 2000 km da terra.
Fluttuo nello spazio.
Lo posso fare, voi credete di no. Lo faccio da sempre.
Ogni tanto, svogliato, mi occupo delle cose di noi umani. Poi, appena posso, ritorno a fluttuare.
Mentre sto lì a fluttuare, faccio come mi pare. Lo faccio di sbieco, di sguincio, di taglio, lo faccio angolare. Lo faccio con tempo, controtempo, fuori tempo e sopratutto, col mio tempo. Un tempo immorale. Perché è perso, perché è diverso.
Il mio tempo è tempo in più, dato che la mia nascita è stata in sovrappiù in questo mondo. Non ce n’era bisogno. Di un altro bambino. Nossignore, signorno, no. Non cambio idea.
A malapena cambio idea. Quando scrivo, quando dipingo, quando suono. C’era bisogno di me, ma chi lo dice sono sempre io, che mi fruisco, che mi ascolto mi leggo e mi percepisco, che se anche a malapena mi digerisco, sussurro, all’orecchio dell’inutile uno e gli confesso: bravo.
Sono a 2000 km da terra e raramente scendo a pagare una bolletta, a farmi sei mesi di lavoro, a fare l’amore, a prendere delle birre, a parlare con la famiglia, a festeggiare il Natale, ad andare negli uffici, a parlare col capo, a votare. Tutte cose che non hanno una grande importanza. Se anche voi fluttuaste qui, nell’orbita ultima della terra, potreste convenire con me che è assai più piacevole fluttuare. Senza bestemmiare. Senza ulcere. Senza ansie. Senza cazzi da cacare.
Il panorama è bello. Bello sì, se non fosse per quelle chiazze di cemento. Da qui si vedono certi spettacoli di luce e vita, certi ghirigori di nuvole. Certe albe, certi tramonti, e sopratutto qui su c’è pace. Qui c’è una pace che voialtri piedatterra, potete solamente immaginare. Il dovermi mischiare con gli altri mortali incapaci di volare mi disturba un po’, ma lo faccio, e spesso con piacere. Tanto poi torno a fluttare. Manco mi stessi facendo una nuotata nel mare. E voi a lavorare, a studiare, a sudare, a spaccarvi la schiena e la testa per dare un senso a questo essere, a questo fare, a questo divenire. Che strazio. Io fluttuo.
Certo che qui su mi sento solo.
Ci sta solo da fluttuare.
Ci sto solo io. A fluttuare come uno stronzo.
A forza di fluttuare, mi sono un po’ rotto i coglioni di fluttuare da solo.
Scendo. Mi trovo un lavoro, per mesi, per anni forse, mi dimentico il fluttuare, sudo, godo, mangio, corro, pago le bollette, vivo nella casa dei miei sogni, scopo come un riccio, mi diverto con gli amici, bevo, fumo e trallalà!
Dopo un po’ mi manca il fluttuare. Questa parola inizia a diventare cacofonica, fluttuare, fluttuare, fluttuare. Fluttuo e fletto le ginocchia a mo’ di ranocchia, nuoto e all’uopo, piroetto.
Fluttuo… era più diretto!
Ho comprato delle scarpe da ginnastica per poter correre. Fluttuare mi ha fatto venire una malattia grave. Grave per me e per chi mi ruota attorno. Son diventato grasso come un satellite. Ho bisogno di smaltire. Ho bisogno di perdere tutto quel benessere che mi sono ficcato in gola. Tutto.
Altrimenti rischio di fluttuare per sempre, chissà come, chissà dove.
Chissà se farà male: l’ultima fluttuata.
Quella in cui sali su nella tua orbita confortevole, ma poi non ti fermi a 2000 km, prosegui, ti avvicini al sole e pensi: “ecco cos’era la luce” ma invece manco per il cazzo, superi anche il sole. Fino a che non vedi tutto da così lontano che niente e più niente sarà di tua competenza, di tua responsabilità, niente più manco una mera direzione. Solo, beatamente fluttuare.
Ma chi me lo ha fatto fare a fluttuare per tutta la vita se poi avrei fluttuato tutto il resto del tempo?
A saperlo prima! Avrei fluttuato molto meno.
Certo che adesso sono esperto. Ne vedo di fluttuatori alle prime armi. C’è chi nella sua vita non ha mai fluttuato. Altri invece, li vedo molto più esperti di me. Fluttuatori professionisti. Ne è passato uno a stile libero. Guarda quello come si tuffa dagli anelli di saturno.
Se avessi fluttuato troppo, mi sarei alienato dopo.
Se avesi fluttuato troppo poco, sarei stato spaesato.
Ho fluttuato il giusto, non mi posso, davvero, lamentare.
Alla luce di ciò, dato che ancora non è arrivato il momento del fluttuamento eterno, mi conservo lungimirante e fiero della mia estemporanea visione extraterrena, dove il fluttuar m’è dolce.
Sono a 2000 km da terra e orbito, poco prima di fuggire dall’attrazione terrestre e ci sto benissimo. Non mi serve un razzo per arrivarci, non mi serve un paracadute per tornare. Adesso scendo che devo fare delle cose, vorrei tanto scrivere un pezzo dove spiego come fluttuo, fluttuavo e fluttuerò.
Potessi portarmi la tastiera qui a 2000 km, ma no, lo devo fare dalla terra, coi piedi ben piantati in terra, che viene meglio. I piedi a terra, e la testa a 2000 km. Vi sfido. A trovare gente così alta.
Riccardo Papaleo