È possibile definire demenza una condizione di deterioramento globale e progressivo della sfera cognitiva come la memoria, l’attenzione e il linguaggio, che impedisce il ragionamento, le funzioni sociali e il normale funzionamento quotidiano della persona. Come precisa però nel 2011 Blundo, le demenze sono caratterizzate da disturbi cognitivi che si intrecciano quasi invariabilmente con la presenza di disturbi della sfera psichica/comportamentale e neurologica, a conferma di come il funzionamento di questi sistemi debba essere considerato nel loro insieme piuttosto che singolarmente (Blundo C., 2011)
Gli studiosi si sono posti spesso la domanda se la demenza possa essere considerata come una fase terminale di un processo inesorabile di esaurimento funzionale del cervello (Drachman D.A, 1994) oppure possa trattarsi di una patologia a tutti gli effetti, distinta dall’invecchiamento, sebbene quest’ultimo ne rappresenti un fattore di rischio (Khachaturinan Z.S., 2000).
Già nell’antichità il concetto d’invecchiamento era controverso se si pensa che nel 160 a.C. Terenzio la descrive come malattia: “senectus ipsa est morbus”, mentre nel “De senectude” del 44 a.C.
Cicerone, durante la conversazione immaginata tra Catone il Censore, Gaio Lelio e Publio Cornelio Scipione Emiliano, fornisce un’immagine degli anziani come di coloro che hanno maturato quell’esperienza e acquisito quell’autorità che consente di vivere una vita operosa, attiva e consapevole e dedicarsi all’educazione dei più giovani.
Nel 1987 Cesa-Bianchi parla d’invecchiamento come di un processo che dipende dal progredire dell’età, una modificazione, così come avviene nelle altre fasi dell’esistenza e che potrebbe realizzarsi in una condizione di salute oppure di malattia.
“L’invecchiamento riferito all’uomo indica il complesso delle modificazioni cui l’individuo va incontro, nelle sue strutture e nelle sue funzioni, in relazione al progredire dell’età” (Cesa-Bianchi M., 1987)
Possiamo quindi pensare a un invecchiamento in buona salute e a una forma d’invecchiamento patologico che derivano dalle modificazioni avvenute durante l’arco dell’esistenza.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità nel 2002, in tema di invecchiamento, puntualizza che invecchiare è un privilegio e una meta della società. Aggiunge, inoltre, che è anche una sfida ed ha un impatto su tutti gli aspetti della società del XXI secolo (WHO, 2002).
Secondo i principali risultati statistici di EUROSTAT del 2016, nel corso degli ultimi 50 anni, la speranza di vita alla nascita è aumentata di circa 10 anni in media in tutta l’UE. In media, un europeo nato nel 2014 può aspettarsi di vivere 80,9 anni e nel 2030 oltre un quarto della popolazione europea avrà 65 anni o più.
Il numero di soggetti ultrasessantenni a livello mondiale ha raggiunto la cifra di 900 milioni, pari al 12% della popolazione con una previsione di 2,4 miliardi nel 2050, cioè il 21% della popolazione totale. (Eurostat, 2016)
A oggi si stima che ci siano nel mondo 47 milioni di persone affette da demenza e si pensa che se nei prossimi anni i trend di prevalenza e incidenza dovessero permanere immutati, la cifra salirà a 131,5 milioni nel 2050 (World Alzheimer Report, 2016).
Appare quindi evidente come il processo d’invecchiamento della popolazione sia da ritenersi centrale per un corretto approccio alla cura della salute umana.
L’interrogativo sul perché si invecchi ha tentato di trovare risposte in molteplici teorie che hanno preso in esame una serie di fattori. Uno tra i fattori analizzati è stato quello genetico e gli studiosi si sono concentrati sulla definizione del ritmo, delle fasi, della durata del processo di invecchiamento. Sono stati poi presi in esame fattori educativi e culturali che influenzerebbero significativamente il processo di senescenza, sia pure in modo diverso, secondo la popolazione di appartenenza. Un buon livello educativo e un’adeguata situazione culturale sembrerebbero agire positivamente sull’invecchiamento, mentre una situazione opposta si riterrebbe essere la condizione favorente un rapido decadimento. Un altro fattore, collegato strettamente al precedente, è quello economico. Molte ricerche, come ad esempio quella di Birren del 2013, documentano una vera e propria dicotomia nel modo di svolgersi dell’invecchiamento fra gli appartenenti alle classi socio-economiche più fortunate e i facenti parti alle classi più svantaggiate (Birren J.E. et al., 2013).
Per questi ultimi la senescenza si verificherebbe, infatti, in condizioni sfavorevoli con forti ripercussioni sul benessere fisico. Anche il fattore sanitario, che opera in stretta interdipendenza con quello economico, potrebbe influenzare l’invecchiamento. L’insorgenza di patologie, infatti, specie se di carattere cronico e progressivo, influenza negativamente il processo di invecchiamento fino a farlo precipitare.
Tale influenza negativa diventa più incisiva se si realizza in un quadro di inadeguate risorse economiche. Interessante appare anche il fattore personalità, alcuni studi hanno esaminato i diversi aspetti che la senescenza assume negli individui chiusi e in quelli aperti, negli attivi e nei disimpegnati, nei tenaci e nei labili e così via (Cesa Bianchi M., 1987). A differenti tipologie caratteriologiche corrisponderebbero diversi modi di invecchiare.
Inoltre, l’invecchiamento varia notevolmente se un individuo vive solo, in coppia, o in un gruppo più numeroso. L’influenza di tale fattore si differenzia anche in rapporto al carattere dell’individuo che invecchia, alle sue condizioni culturali ed economiche, al gruppo di appartenenza. Per concludere, ormai è un dato di fatto che l’invecchiamento è espressione di un’interazione fra l’individuo e il suo ambiente, interazione nella quale l’individuo modifica continuamente l’ambiente e l’ambiente modifica continuamente l’individuo.
Emerge con chiarezza quindi che, influenzato da tutti i fattori sopra descritti, l’individuo potrà vivere una terza età sana e attiva oppure sviluppare un invecchiamento patologico.
È a quest’ultimo che ci riferiamo quando parliamo di demenza. La demenza, infatti, è una condizione clinica che il DSM-5 (APA, 2013) racchiude nei disturbi neurocognitivi, è una patologia progressiva e non un normale processo d’invecchiamento. La demenza interferisce con la capacità della persona di funzionare in situazioni sociali, di gestire le attività quotidiane di riconoscere il mondo esterno, disintegra progressivamente ciò che l’individuo è stato, è, e che sarà, cosa può fare e come può muoversi nel mondo.
Il decadimento cognitivo e i disturbi comportamentali a esso associati non sono però riconducibili a un’unica patologia neurologica ma possono avere diverse cause come la malattia di Alzheimer, quella vascolare, la degenerazione fronto-temporale, la malattia a corpi di Levy, la Creutzfeldt-Jakob, la sindrome di Korsakoff, il trauma cranico, l’encefalite erpetica e molte altre ancora.
Il World Alzheimer Report dell’Alzheimer Disease International ha stimato nel 2016 la prevalenza delle varie forme di demenza con il 60% per la malattia di Alzheimer, il 15% per la demenza vascolare, che presenta un 5% di quadro dementigeno misto (Malattia di Alzheimer e demenza vascolare), il 12% per la Demenza a corpi di Lewy, il 5% per la Demenza fronto- temporale e il 5% a carico di altre patologie (World Alzheimer Report, 2016).
Tutti i tipi di demenza hanno però un elemento comune: attaccano il sistema nervoso centrale mediante l’interferenza della comunicazione tra cellule neuronali e mediante la morte delle cellule stesse, causando un progressivo declino dell’efficienza cerebrale.