“Senza pace e giustizia sociale, senza cibo sufficiente e acqua, senza un’educazione e un’abitazione decente, senza che ognuno e tutti abbiano un ruolo da svolgere nella società e senza un reddito adeguato, non ci può essere salute né crescita reale né sviluppo sociale” (Organizzazione Mondiale della Sanità)
“Con il termine esclusione sociale si definisce l’impossibilità, l’incapacità o la discriminazione di un individuo nella partecipazione a determinate attività sociali e personali. L’esclusione sociale descrive una condizione di forte deprivazione, determinata dalla somma di più situazioni di disagio. La deprivazione è riconducibile sia alla mancanza di risorse economiche adeguate che ad un accesso limitato ad ambiti sociali come l’educazione, l’assistenza sanitaria, il lavoro, l’alloggio, la tecnologia, la vita politica ecc.
Socialmente esclusi, quindi, sono quegli individui la cui capacità di partecipare pienamente alla vita sociale è fortemente compromessa. Nelle società contemporanee le categorie maggiormente vulnerabili sono: le persone senza fissa dimora, i disabili, i detenuti o ex-detenuti, le persone con dipendenza da sostanze, gli anziani, gli immigrati, i rom, le famiglie numerose o monoparentali, i minori. In tutti i gruppi le donne vivono una situazione di disagio più forte degli uomini. Violenza, stigma sociale, povertà espongono le donne e le ragazze ad un rischio costante di emarginazione.
La sovrapposizione tra una posizione economica marginale e l’isolamento sociale può avere come conseguenza grave la perdita del senso di appartenenza ad una determinata comunità e quindi la degenerazione dell’esclusione a livelli estremi.”
“Per la risoluzione del problema dell’esclusione sociale fondamentale quindi è il ruolo sia delle istituzioni che della società civile, per l’ideazione e la messa in atto di strategie di contrasto congiunte. Nella formulazione di tali politiche diventa importante non focalizzarsi esclusivamente sull’individuazione di strumenti che consentano il superamento della deprivazione economica ma tenere in considerazione anche gli aspetti relazionali dell’emarginazione. Proprio questi ultimi, infatti, costituiscono il campanello di allarme che evidenzia la pesante responsabilità delle istituzioni, ma soprattutto della società civile, nella genesi del fenomeno della marginalità. Il fatto che ci siano individui che sperimentano in prima persona l’esclusione significa necessariamente che esistono dei soggetti che escludono.
La società civile, nella gestione degli interventi socio-assistenziali deve quindi poter assumere un ruolo centrale accanto a quello delle istituzioni. In questa prospettiva la società civile è chiamata a recuperare la sua natura comunitaria, cioè consentire a tutti i suoi componenti, a partire dai più vulnerabili, una partecipazione attiva e responsabile alla vita sociale. L’inclusione e la reintegrazione delle persone colpite da situazioni di bisogno di tipo relazionale, infatti, è possibile solo attraverso la società civile. In questa ottica, quindi, viene a modificarsi il ruolo del welfare, che non può più essere una prerogativa unicamente istituzionale.
In alternativa al “welfare state” si inizia pertanto a parlare di “welfare community”, ponendo l’accento sull’appartenenza degli individui ad una comunità, all’interno della quale diventa possibile recuperare il proprio ruolo attraverso strategie di autogestione e corresponsabilizzazione nei confronti delle istituzioni. La lotta all’esclusione sociale non può essere condotta senza l’attiva partecipazione degli stessi cittadini emarginati, in quanto soggetti moralmente autonomi e titolari di diritti e doveri inalienabili. Ognuno di noi ricopre un ruolo da svolgere nella società e coloro che hanno più difficoltà ad individuarlo devono essere supportati altrimenti verrebbe meno il senso proprio del progetto sociale che non prevede l’esclusione di nessuno.”
Fonte: http://www.unimondo.org/Guide/Diritti-umani/Esclusione-sociale/(desc)/show