Abitare è Salute: i progetti terapeutici individualizzati nell’Assistenza

Abitare è Salute: i progetti terapeutici individualizzati nell’Assistenza

Abitare & Salute: il primo approfondimento di ‘Salute & Diritti‘ con la dott.ssa Alice Imola, consulente pedagogica dell’associazione Aemocon, e il dott. Alessandro Reali, presidente della Cooperativa Il Mosaico.
In questo podcast, ci soffermiamo sull’importanza della dimensione dell’abitare nei percorsi di assistenza delle persone che vivono una disabilità o un disturbo mentale, che ne limiti l’autonomia. E andiamo alla scoperta di due progetti innovativi in questi due diversi ambiti.

Abbiamo modo, così, di parlare di un approccio riabilitativo più centrato nel lavorare nei contesti vissuti dalla persona con disabilità. Una riabilitazione capace di creare possibilità effettive, concrete, per la persona.

Per evitare risposte pre-formate, grandi istituti, contenitori distanti dal territorio e dal tessuto sociale di appartenenza della persona. Per evitare l’isolamento e la terribile sofferenza che questo comporta, per de-istituzionalizzare l’assistenza, è fondamentale ragionare su questi aspetti pratici dell’esistenza che fanno la differenza nel dare senso ad un intervento specialistico, all’assistenza, ad un progetto terapeutico individualizzato.

La sociologia ci ricorda che sono proprio i contesti sociali deprivati, compresi i luoghi dell’abitare, che «favoriscono l’adozione di stili di vita insalubri» (Cardano, 2009), che contribuiscono a creare una spirale di malessere, con un costo sociale ed economico altissimo. Un luogo “bello” invece, che si percepisce essere pensato e realizzato per il benessere di chi lo attraversa, stimola a prendersi cura di sé e lo spazio diventa “uno spazio di opportunità per esperienze possibili” (Fortunati,2008). _
E’ evidente che la riabilitazione psichiatrica passi quindi anche attraverso i concetti di casa e di abitare, spesso intesi con il medesimo significato, ma in realtà possibili rappresentazioni di un diverso modo di vivere. L’abitare è una delle dimensioni importanti della costruzione di sé e della progettazione della propria vita e la qualità dell’abitare, il luogo in cui si vive e il contesto che si frequenta spesso riflettono la struttura delle diseguaglianze nella società. Se per casa si intende un luogo ove semplicemente vivere, non occorre manifestare particolari abilità, è sufficiente “stare” e questo è possibile in ogni luogo (dall’ospedale psichiatrico ad un alloggio) e a qualsiasi livello di riabilitazione raggiunta.

Abitare, invece, può rappresentare qualcosa di più e di diverso: acquisire contrattualità, esercitare un potere, sia esso materiale o simbolico, essere protagonisti e partecipi di quanto si sta vivendo.

Il manicomio ha simboleggiato il luogo per eccellenza del “non abitare”, ma dello “stare”, per questo la svolta della psichiatria ha focalizzato gran parte del suo interesse sulla residenzialità: la storia di un paziente psichiatrico è anche un percorso di “case”, posti che non implicano necessariamente l’abitare.

Il lavoro che oggi è possibile effettuare consiste quindi nel definire l’uso della “casa” e la conquista dell’abitare. La casa non è l’unico spazio possibile da abitare: ogni luogo in cui si trascorre un tempo significativo ha la possibilità di essere vissuto, quindi ogni servizio in cui si viene a contatto con i pazienti è una possibile “palestra”  dell’abitare.

Abitare è una capacità interiore che si può acquisire, per questo vale la pena di lavorare sull’habitat ottenendo così il diritto di abitare e non solo quello di avere una casa, nella speranza che tale ottica rappresenti davvero il superamento della mutualità manicomiale.

La letteratura scientifica e l’esperienza maturata in questi anni dimostrano che sono la povertà o la mancanza di risorse abitative e di efficaci programmi riabilitativi a rendere difficile progettare sistemazioni di vita al di fuori del nucleo familiare, delle strutture psichiatriche ad alto grado di protezione, oppure occupando impropriamente i posti nei reparti di diagnosi e cura. 

Come espresso dallo psichiatra Franco Rotelli, uno degli assi fondamentali della riabilitazione non è quello della “casa” bensì quello dell’”habitat”. Soltanto questo spostamento permette di formulare politiche e programmi avendo come obiettivo la trasformazione degli habitat (siano essi cliniche psichiatriche, case, ambulatori, residenze protette o gli stessi domicili dei pazienti): è il processo di trasformazione da spazio a luogo, da istituzioni residenziale ad habitat ciò che deve connotare la pratica riabilitativa. Ovunque si incontri il paziente, andrà fatto un lavoro di “habitat”. 

“La funzione di intermediazione” è la funzione dello staff impegnato sull’asse habitat “…al di la’ della sua storica dislocazione sull’ipotetico percorso che va dall’ospedale psichiatrico al contesto sociale, essa si propone di operare per il cambiamento sul piano individuale (dalla destrutturazione verso l’identita’), sul piano famigliare (dall’espulsione verso l’accettazione), sul piano sociale (dall’emarginazione verso l’inserimento)”(Tagliabue, 1993).

E’ solo in questa logica che assume senso la nozione di casa: la casa è un diritto ma questo diritto non rappresenta solo la casa ma anche la sua acquisizione come processo di formazione della cittadinanza del paziente.

Scritto estratto da un editoriale di 180 gradi della nostra amata Claudia Celentano

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