Paulo Freire (Recife, 19 settembre 1921 – São Paulo, 2 maggio 1997) è stato un pedagogista brasiliano e un importante teorico dell’educazione che ha portato avanti il processo di alfabetizzazione nelle Favelas brasiliane nei primi anni ’70.
Il lavoro di Freire è uno dei fondamenti della pedagogia critica.
Freire distingueva due tipi di educazione: educazione depositaria ed educazione libertaria.
L’educazione depositaria è una formazione nozionistica che ci prepara a rivestire un ruolo previsto per noi nella società, l’educazione alla norma e allo status quo in cui chi apprende viene riempito di informazioni.
Diversamente, l’educazione libertaria è qualcosa che consente alla persona di appropriarsi della proprio vita, mettendo in discussione il quotidiano.
L’educazione libertaria vuole aiutare le persone ad essere-di-più.
Ed era quello che Freire insegnava alle persone nei suoi progetti educativi nelle Favelas.
Appropriarsi della propria condizione esistenziale diviene la base per potersi riposizionare, in modo intelligente, nel mondo e ripartire, riscoprendosi protagonista di una storia, della propria storia. Secondo noi la vera prevenzione primaria non deve essere un’educazione sanitaria ‘depositaria’, in cui fornire nozioni che le persone devono assumere passivamente. Diversamente, deve essere un processo di promozione alla salute, uno strumento per ‘capacitare’ le persone e renderle attive verso la propria salute. E questo è possibile solo quando una vita acquista senso.
Paulo Freire, Pedagogia degli oppressi
“Mi piace essere persona perché so che il mio passaggio attraverso il mondo non è già stato determinato, non è prestabilito. Perché so che il mio destino non è un dato, ma è qualcosa che deve essere ancora realizzato e dalla cui responsabilità non posso esimermi”
“Mi piace essere persona perché la storia in cui mi realizzo con gli altri e della cui costruzione faccio parte è un tempo di possibilità e non di determinismo.”
“Mi piace essere persona perché incompiuto, ma so anche che, cosciente della mia incompiutezza, posso superarla”
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