“Scrivere sul burn out senza entrare nella mia storia personale di professionista nella relazione di cura è pressoché impossibile perchè il mostro dell’evento stressogeno, è appostato dietro l’angolo, non si vede fino a quando non si para davanti nella sua crudezza e nella sua capacità di stravolgere tutto il nostro mondo interiore.
Chi come me ha vissuto questo momento, ha ben presente come il puzzle di quello che eri si frantumi, senza che ti sia data la parola sul perchè tutto ciò avvenga e di come ci sei arrivato a quel punto. La sensazione che hai, e che ho avuto io, è quella che ricorda il mito di Sisifo, portare un macigno in cima alla montagna per poi ritornare a fare la stessa cosa perchè nel frattempo è ricaduto a valle. Quindi ricominciare continuamente la stessa fatica per un bel po’ di tempo, per rimettere i pezzi al loro posto, per ritrovare quel “centro di gravità permanente” che ti permette di continuare a fare il tuo lavoro nel migliore dei modi possibili.
Dico questo, e può sembrare una banalità, ma prima che essere un educatore sono una persona quindi faccio “le mie cose di lavoro” con quello che ho, sia dal punto di vista cognitivo che emotivo. In quanto educatore non mi sento migliore degli altri e soprattutto non ho verità da divulgare, e non voglio insegnare a nessuna persona a vivere, solo perchè il mio ruolo mi chiede di “migliorare l’altro/a”.
Sono ormai 25 anni che lavoro nel settore e ho trovato un mio modo molto personale di fronteggiare il burnout: cambiare servizio e/o ruolo più o meno ogni lustro.
Credo che la monotonia di lavorare sempre nello stesso posto sia un apripista per deflagrazioni pericolose per un sano equilibrio tra una professione da trincea e una vita normale. Dove per vita normale intendo un rapporto bilanciato con le “cose della vita” e quindi anche con il dolore e con la sofferenza che tutti i giorni viviamo con chi ci viene dato in cura”
Vincenzo
Il Burn out nella relazione di cura – L’esperienza di Vincenzo